Il linguaggio segreto dei vegetali
Ho letto recentemente un libro che mi è molto piaciuto: “Il linguaggio segreto dei vegetali” di Paola Cerana, una giornalista che scrive per riviste letterarie e siti web.
Il libro è diviso in 18 capitoli; ne cito alcuni: Fave, lenticchie e fagioli. L’olivo e l’olio. Zucca, cavolo e carota. I fiori e il miele, ecc.
Lo stile dello scritto è appassionato e allo stesso tempo sobrio e asciutto, molto coinvolgente. Riporto qui a mo’ di esempio, alcuni brani scelti qua e là.
Una famiglia di vegetali molto interessante è quella dei legumi che, sin dall’antichità, hanno assunto un ruolo importante non solo nell’alimentazione ma anche nell’immaginario simbolico. Platone non li apprezzava, mentre era ghiotto di fichi secchi e di olive che divorava anche in pubblico fra una lezione e un’altra. Ma doveva essere piuttosto morigerato poiché nella Lettera settima sembra prendersela con i Siracusani, accusandoli di mangiare ben tre volte al giorno. Nel suo Fedone infatti, diceva come il cibo fosse solo una distrazione da passatempi più elevati. Per converso, le abitudini alimentari di Aristotele dovevano essere più sofisticate dal momento che ricorda, nella Metafisica, che non si può pensare a pancia vuota e che la filosofia nasce quando l’uomo ha risolto i suoi bisogni primari. I Pitagorici si rifiutavano categoricamente di nutrirsi di fave, perché la vivace cosmogonia della loro epoca vedeva la fava come il simbolo della commistione tra seme umano e sangue. Ma la tradizione romana attribuirà alla fava tutta la sua dignità, spesso decantata da Ovidio. Essa rappresentava non solo un ottimo alimento ma anche un simbolo di sicuro guadagno e di buon auspicio. Questo perché gli agricoltori romani s’erano accorti che era l’unico legume che, se pur ammaccato, si riempiva di nuovo durante i periodi di luna crescente, tornando turgido e rigoglioso. Oggi la fava resta degnamente celebrata a Roma, dove viene consumata cruda insieme al pecorino.
Nell’antichità, i fagioli erano i meno apprezzati fra tutte le leguminose. È stato con la scoperta dell’America che nuove specie, più carnose, variopinte e vellutate hanno sedotto i palati europei, anche quelli più diffidenti. Si dice, a dimostrazione di ciò, che Caterina de’ Medici, andando in sposa a Enrico II re di Francia, portò con sé un sacchetto di ottimi fagioli che conquistarono l’intera corte francese. Da allora la carriera del fagiolo è stata tutta un crescendo e tre secoli dopo, Eduardo De Filippo nella commedia Natale in casa Cupiello ha decantato pasta e fagioli come un toccasana per curare le febbri di origine viscerale. E ancora Giovanni Pascoli ne I due vicini lo dipingeva come la creatura che ridea, di fiori, avvolto alle intrecciate / canne, il fagiuolo.
Il mondo vegetale è fatto non solo di colori e forme, ma anche di odori e profumi spesso fuggevoli. I fiori, la frutta e le pianticelle aromatiche emanano profumi provocanti, decisi e ben distinguibili. Un profumo funziona un po’ come una musica: stimola umori e stati d’animo in maniera apparentemente irrazionale. Tuttavia, mentre le note musicali obbediscono a una grammatica, gli odori sono spesso evanescenti e intraducibili. Così s’ergono nei campi i girasoli, i messaggeri dell’estate. Ubriachi di luce e allegri all’aurora, malinconici e pensierosi al tramonto, così li pennella Eugenio Montale in Ossi di seppia: Portami il girasole / nel mio terreno bruciato dal salino, / e mostri tutto il giorno agli azzurri specchianti / del cielo l’ansietà del suo volto giallino. / Portami tu la pianta che conduce / dove sorgono bionde trasparenze / e vapora la vita quale essenza; / portami il girasole impazzito di luce. Il girasole ha una doppia magia. Visto da vicino è ipnotico: i fiori del disco sono disposti in modo tale da evocare la sezione aurea. Sembrano creare infatti uno schema a spirale in cui il numero di spirali orarie e di quelle antiorarie riproduce le serie di Fibonacci (in cui ogni termine è la somma dei due precedenti: 1 + 1 = 2; 2 + 1 = 3; e così via). Di solito ci sono 34 spirali in un senso e 55 nell’altro… Un campo di girasoli appare come un organismo unico in cui ogni fiore dialoga con gli altri, in armonia con il tutto. Certo Van Gogh, col suo pennello, è riuscito a raccontare molto bene l’incanto misterioso di questo fiore.
E cosa dire dei papaveri? È un fiore che sfida il cemento e riesce a proliferare anche negli ambienti urbani più ostili, donando colore a muri, marciapiedi, ferrovie e anfratti. John Ruskin, durante una vacanza a Roma, scrisse: “È un fiore intensamente semplice, tutto seta e fuoco, un calice scarlatto tagliato perfettamente tutt’intorno, si vede da lontano in mezzo alle erbe selvatiche come un carbone ardente caduto dagli altari del cielo…”. Nel mondo anglosassone, i papaveri sono dedicati alla memoria dei caduti sui campi di battaglia della prima e seconda guerra mondiale. In Gran Bretagna, infatti, nel Remembrance Day, tutti portano un bel papavero rosso all’occhiello. A questo fiore s’ispirò anche Fabrizio De Andrè, nella sua nostalgica canzone La guerra di Piero.
La “Metamorfosi delle piante” di Goethe ha anticipato e influenzato molte ricerche ancora attuali nel campo della fitoterapia.
Dopo molti aneddoti, esempi, riflessioni, la scrittrice conclude: dunque piante, fiori, frutta e ortaggi possiedono un linguaggio segreto attraverso il quale parlano ai nostri sensi, anche se spesso non ne siamo consapevoli, ma la loro manifesta bellezza, il loro profumo, ci accompagnano lungo tutto il percorso della nostra vita.
Luciana Scarduelli
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