Riproduzione del progetto del padiglione dei ‘tranquilli’ – Il manicomio provinciale di Roma : ricordo della posa della prima pietra, 29 giugno 1909 – Edgardo Negri e Silvio Chiera (sec. XIX-XX) – Nella pubblicazione fatta in memoria dell’avvio dei lavori, i due ingegneri introducono una breve storia dell’ospedale, quindi illustrano il progetto esecutivo (…)
L’istituzione del Santa Maria della Pietà ha origini antiche risalenti al XVI secolo. Fu fondato nel 1548 per volontà e opera del sacerdote sivigliano Ferrante Ruiz. La prima sede, nei pressi di Piazza Colonna a Roma, fu inizialmente preposta all’accoglienza dei numerosi pellegrini attesi per l’Anno Santo del 1550, mentre in seguito si specializzerà in aiuto ai poveri, vagabondi ma soprattutto nell’accudimento dei matti. L’isolamento del ‘pazzo’ dal contesto sociale ed il numero sempre maggiore di ricoverati portarono ad un periodo di decadenza dell’ospedale. Nei secoli successivi seguirono numerosi dibattiti, provvedimenti per il risanamento, nuovi regolamenti e visite apostoliche che videro annettersi alla struttura principale anche Villa Barberini e Villa Gabrielli sul Gianicolo, per i degenti più facoltosi. Con l’ unità d’Italia il complesso venne riconosciuto come opera pia e dal 1893 l’amministrazione passa alla Provincia di Roma. Nel 1907 il consiglio provinciale approvò la costruzione del nuovo manicomio nei pressi di S.Onofrio (Monte Mario) su un terreno acquistato dalla Provincia. Il progetto dichiarato vincitore dalla commissione speciale giudicatrice del pubblico concorso (1) era degli ingegneri Edgardo Negri e Silvio Chiera, la ditta costruttrice cui vennero affidati i lavori con successiva delibera era la “Domenico Vitali e C.” per un importo complessivo di cinque milioni. Nel 1909 per iniziativa del senatore Alberto Cencelli cominciarono i lavori per il nuovo ospedale psichiatrico denominato Manicomio Provinciale di Santa Maria della Pietà che iniziò a funzionare nel 1913 e fu inaugurato ufficialmente da Vittorio Emanuele III il 31 maggio 1914. Il complesso concepito con lo spirito del manicomio-villaggio si estendeva su circa centotrenta ettari e comprendeva quarantuno edifici ospedalieri, di cui ventiquattro erano padiglioni di degenza. Gli edifici, immersi in un grande parco di piante a fusto alto e collegati l’un l’altro da una rete stradale di circa sette chilometri complessivi costituivano così il più grande ospedale psichiatrico d’Europa con una capacità di più di mille posti letto. L’ opera si presentava divisa in due sezioni rigidamente separate: l’area maschile e quella femminile che rimarranno ben differenziate nella gestione fino agli anni ’70. Era una piccola città con i servizi interni garantiti dalla presenza di un impianto termico centralizzato, la cucina, la dispensa, la lavanderia e in seguito anche una piccola sala operatoria. Vi erano inoltre la fagotteria (dove venivano depositati gli effetti personali dei ricoverati) la chiesa, l’alloggio delle suore, i laboratori dei fabbri e dei falegnami. All’epoca la legge prevedeva il ricovero delle persone sulla base di un certificato attestante uno stato di pericolosità per sé o per gli altri o per atteggiamenti di pubblico scandalo e ben presto si giunse ad un sovraffollamento con oltre duemila ricoveri. Nei casi incerti si decideva la dimissione o l’internamento dopo un periodo di osservazione. Ogni padiglione era una realtà a sé stante: la ripartizione dei malati non veniva fatta in base alle patologie psichiatriche degli stessi ma esclusivamente in merito al comportamento che questi manifestavano. Il team di infermieri, la suora caporeparto e il medico di ogni padiglione si trovavano così a gestire un insieme disomogeneo di degenti altamente diversi per gravità della patologia, terapia ed età. Comuni erano invece l’inattività, l’abbandono e regressione dei pazienti che sviluppavano di conseguenza un carattere aggressivo. Tra i diversi padiglioni si ricordano: il XVIII dei criminali con mura di cinta di quattro metri; il XIV degli agitati, il XII dei pericolosi per tentativi di fuga e di suicidio; l’ VIII dei bambini; il XXX delle lavoratrici e padiglioni specifici per pazienti con TBC, come il XVI. Il padiglione più grande, il XXII, detto il Bisonte, ospitava più di trecentoventi pazienti tra epilettici, dementi senili e schizofrenici. Dal 1974 in poi per iniziativa del dottor Ferdinando Pariante, aperto alla recente corrente antipsichiatrica ispirata da Franco Basaglia, si aprì un dibattito aperto a tutto il personale ospedaliero, che giunse a modificare il regolamento interno in un’ottica anti-istituzionale. Ai primi esperimenti del padiglione XVI, ne seguirono progressivamente altri e nel 1978 con la Legge 180 (legge Basaglia) venne ufficializzata definitivamente la prassi intrapresa. Gli ultimi venti anni di attività del manicomio sono caratterizzati dallo svuotamento graduale di degenti e personale, di conseguenza anche i servizi logistici e medici, perlopiù interni all’ospedale, perdono rilievo e vengono forniti sempre di più esternamente alla struttura. Gli obiettivi principali della nuova assistenza infatti erano volti a rendere autonomi i pazienti e capaci di poter affrontare la vita fuori dalle strutture manicomiali (…) solo recentemente, dopo la definitiva chiusura nel 1999, il parco storico è stato aperto al pubblico ed è giornalmente frequentato dagli abitanti della zona (Monte Mario, Torrevecchia). Occupa oggi una superficie di circa 27 ettari di terreno, di cui 19 a verde, è dotato di 36 padiglioni, alcuni ospitano la sede della Asl E, il Museo della mente (VI) la associazione Ex lavanderia (XXXI) che comprende una ciclofficina (dal 2001) l’associazione Antea per la lotta al dolore (XXII) mentre i restanti sono ancora abbandonati.
Particolare interesse riveste l’intervento di riqualificazione, recentemente realizzato, sulle aree verdi del parco, in particolare sulle essenze arboree che rischiavano di scomparire (i lavori, effettuati nel dicembre 2012 ad opera del Servizio giardini del Comune, dell’AMA, della Multiservizi e di Pies-decoro, sono durati 20 giorni circa) piantate contestualmente alla costruzione del complesso, esse avevano assunto nel corso degli anni un notevole valore botanico e paesaggistico. Nel parco vegetano spontaneamente l’alloro, e le querce sempreverdi, inclusa la sughera e svariate specie di origine sub-tropicale; vi sono i lecci, le robinie per i viali, i tigli per creare zone d’ombra, pini, cedri, eucalipti e cipressi per le aree boscate, originariamente messe a dimora per la loro funzione balsamica, palme, sequoie, pini domestici e molte altre specie. A tutte queste, che già configuravano il parco come un arboreto, se ne sono aggiunte nel tempo molte altre arrivate nei modi più disparati, per iniziativa di giardinieri, infermieri, medici o pazienti. Se l’insieme ha perso nel tempo in coerenza progettuale ha però guadagnato in diversità botanica; infatti oggi si possono censire 19 specie di conifere, 8 specie di palme e cicadacee, 9 specie di latifoglie sempreverdi, 7 specie di latifoglie caducifoglie, 20 specie di arbusti e siepi sempreverdi e 15 specie di arbusti, siepi e rampicanti caducifoglie. Alcune specie, quali l’Abies pinsapo (2) le sequoie (Sequoia sempervirens (Don) Endl., Sequoiadendron giganteum (Lindl.) Buchholz) il cipresso calvo (Taxodium distichum (L.) Rich.) ed il cedro della California (Libocedrus decurrens Torr.) tra le conifere, Butia capitata (Mart.) Becc. e Brahea armata Watson tra le palme, Quercus rubra L. tra le caducifoglie, Quercus suber L. ed il Cinnamonum camphora (L.) Presl tra gli alberi sempreverdi, sono da considerarsi piuttosto rare a Roma. Tra gli arbusti ed i piccoli alberi, insieme ai classici alloro, ligustro e spirea, è da notare la presenza di Photinia serratifolia (Desf.) Kalkman, Chimonanthus praecox (L.) Link, Deutzia scabra Thunb., Philadelphus coronarius L. e Persea americana Mill.; il rovo, il sambuco, il prugnolo, il fico, specie spontanee nelle aree periurbane marginali, sono ampiamente rappresentate, ma tra tutte prevale la Robinia pseudoacacia L.; in occasione dell’intervento, oltre al recupero della vegetazione esistente, sono state messe a dimora nuove essenze arboree per la ricostruzione di preesistenti assetti e paesaggi andati distrutti. La piazza centrale e la fontana sono state restaurate ed è stata realizzata una pista ciclabile ed un percorso ginnico. Alcuni percorsi didattici attraversano i viali del parco illustrando, mediante la cartellinatura delle specie arboree ed arbustive e l’apposizione di specifiche schede botaniche, la ricchezza e la rarità del patrimonio arboreo … (fonti varie – wikipedia – biblioteca-provinciale.provincia.roma.it)
(1) Filippo Galassi (n.1856) nel 1876 conseguì la laurea presso la Scuola di applicazione per ingegneri, in ingegneria civile. Nel 1907 partecipò al primo concorso per il manicomio provinciale di Roma: prescelto dalla commissione, il progetto fu accantonato per un’eccedenza nel preventivo di spesa. (treccani)
(2) L’ abete di Spagna (Abies pinsapo Boiss.) è una pianta nativa delle zone montuose del sud della Spagna (Andalusia). È un albero di notevole sviluppo, con legno molto simile a quello dell’abete bianco, è decisamente raro, si trova in ristrette zone montuose della Spagna meridionale e del Rif marocchino; è considerato l’albero nazionale dell’Andalusia. A minacciare maggiormente questa delicata specie sono gli incendi, la siccità, l’erosione, e il turismo. (fonti varie)
